ARTICOLIDIRITTO PENALE

La vendita online di mascherine anti Covid-19, con oneroso rincaro di prezzo, non necessariamente integra il reato di manovre speculative su merci.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. III, Sent. 22 dicembre 2020 (ud. 16 ottobre 2020), n. 36929
Presidente Liberati, Relatore Gentili

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione terza, si è pronunciata in merito ad un sequestro probatorio eseguito nei confronti dell’indagato per la fattispecie di manovre speculative su merci (art. 501 bis, c.p.), per avere posto in commercio, tramite piattaforma online, mascherine anti Covid-19 con un rincaro del 350%.

La pronuncia è di interesse perché, dopo avere esaustivamente ricostruito la natura e gli elementi costitutivi del reato de quo, il Collegio ha ritenuto che nel caso di specie non sussistesse il fumus commissi delicti legittimante l’adozione del mezzo di ricerca della prova.

1. Natura ed elementi costitutivi del reato di manovre speculative su merci.

Ad avviso della Corte “si tratta (…) di un ‘reato proprio’; infatti, pur a dispetto della possibile attribuzione della condotta delittuosa a ‘chiunque’, così come indicato nel testo normativo, questa, per come successivamente specificato nella stessa norma precettiva, deve essere stata posta in essere da un soggetto che abbia operato ‘nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale’ (…). Un siffatto costrutto linguistico, attraverso l’uso del sostantivo ‘esercizio’ (espressione questa che nel suo significato richiama una condotta di tipo sistematico o, comunque, metodicamente ripetuta), appare riferirsi non allo svolgimento del tutto occasionale ed estemporaneo dell’attività in discorso ma al fatto che questa sia praticata da parte di chi ad essa sia addetto con una certa stabile continuità. Si è, pertanto, di fronte ad un ‘reato proprio’ in quanto lo stesso potrà essere commesso solo da chi rivesta, dal punto di vista operativo, la qualifica soggettiva di esercente, nell’accezione dianzi delimitata, un’attività produttiva ovvero commerciale avente oggetto determinati beni o servizi”. 

Per ciò che riguarda la condotta, ha osservato il Collegio che “essa può presentarsi sotto due forme, rispettivamente disciplinate, pur con identità di sanzione, nel primo e nel secondo comma dell’articolo di codice in questione. Essa, infatti, può consistere, secondo la previsione di cui al primo comma della disposizione in esame, nella realizzazione di manovre speculative ovvero nell’occultamento, accaparramento od incetta di materia prime, generi alimentari di largo consumo o di prodotti di prima necessità, in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno, oppure, e questa è la previsione contenuta nel comma secondo dell’art. 501-bis cod. pen., nella condotta di chi, consapevole della esistenza delle condizioni di rarefazione o di rincaro sul mercato interno dei prodotti di cui sopra, ne sottragga all’utilizzazione o al consumo rilevanti quantità“.

La Corte ha preso posizione anche in merito alla natura delle due fattispecie. Con riguardo alla natura del reato di cui al primo comma, ne ha affermato la natura di reato di pericolo concreto (come già osservato da L. Scollo, Covid-19. Rincari ingiustificati sulle mascherine: è configurabile il reato di manovre speculative su merci (art. 501 bis c.p.), in questa Rivista, 2020, 4). Il Supremo Collegio ha infatti affermato che “la prima fattispecie parrebbe riconducibile ad una ipotesi di reato di pericolo, sebbene di pericolo concreto, in quanto la locuzione ‘atta a determinare…’ evidenzia chiaramente la mera attitudine di una determinata condotta alla produzione di un effetto, ma non impone anche, ai fini della integrazione del reato, che questo si sia realizzato”. Diversamente, ha ritenuto il Collegio che il secondo comma “individua una fattispecie di pura condotta in quanto, presupposta la situazione di ‘crisi del mercato’, il reato è perfezionato sulla base della semplice sottrazione, all’utilizzazione od al consumo di rilevanti quantità di un determinato prodotto, in relazione al quale si era manifestata rarefazione o rincaro sul mercato”.

Più in dettaglio, “mentre i concetti di occultamento, accaparramento ed incetta, corrispondendo a fenomeni naturalistici sono facilmente identificabili nella condotta di chi, avendoli prodotti, sottragga, tenendoli nascosti e negandone la disponibilità, in via primaria al mercato determinati beni, ovvero li accumuli, acquisendoli presso altri soggetti, in misura ampiamente superiore ai propri bisogni imprenditoriali, senza riversarli sul mercato, più complessa è l’attribuzione di significato alle parole ‘compie manovre speculative’, dovendosi comunque, in prima approssimazione, ritenere che l’espressione valga a descrivere la condotta di chi intenda – peraltro attraverso il compimento di azioni per Io più riconducibili, appunto, all’occultamento, l’accaparramento o l’incetta – conseguire un guadagno parassitario attraverso lo stravolgimento consapevole e voluto del bilanciamento fra la domanda e l’offerta di un bene avente le caratteristiche descritte dalla norma incriminatrice, onde renderne così artatamente più elevato il prezzo di cessione”. 

Per ciò che riguarda l’oggetto materiale della condotta, “ai fini della integrazione del reato le merci debbono avere la natura o di materie prime (e ciò è logico ove si rifletta sulla descritta genesi della norma) ovvero di generi alimentari di largo consumo (beni questi che, per lunga tradizione storica, in caso di crisi, sono i primi in relazione ai quali si dubita del corretto funzionamento del mercato; basti, al proposito, rileggere le prime pagine del Capitolo XII de “I promessi sposi” laddove si rileva come, in caso di penuria di disponibilità, i generi alimentari siano immediatamente soggetti a tensioni economiche) o i ‘prodotti di prima necessità’, dovendosi per tali intendere quelle merci, di vario genere, la cui disponibilità è indispensabile per lo svolgimento di una vita libera e dignitosa”. 

In relazione alla fattispecie di cui al primo comma, “l’evento da cui dipende l’esistenza del reato è identificabile nella possibile rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci oggetto della condotta dell’agente; è evidente che il rincaro o la rarefazione debbono assumere della forme, per intensità e durata, di assoluta eccezionalità, posto che, diversamente, qualunque momentanea penuria di merci, essendo questa fisiologicamente idonea a comportare, per la stessa dinamica del punto di equilibrio fra la domanda e l’offerta, un aumento dei prezzi del genere in questione, potrebbe costituire il fomite per la contestazione del reato in questione”. 

Con riferimento alla nozione di “mercato interno”, “questo, sebbene non debba essere inteso come tale da esaurire l’intero mercato nazionale, deve tuttavia intendersi evocabile solamente ove di tratti di fenomeni atti a implicare – stante le dimensioni dell’impresa interessata dalla manovra speculativa, la notevole quantità delle merci oggetto di essa e la probabile influenza che la manovra potrebbe avere sui comportamenti di altri operatori del mercato – il coinvolgimento nel meccanismo di ingiustificato aumento dei prezzi non di una fetta solamente marginale del mercato, avente, pertanto, una rilevanza solo microeconomíca, ma di una, se non generalizzata, significativa parte di esso. La diffusa influenza del fenomeno sull’andamento dei prezzi, in particolare su quelli al consumo, deve essere, infatti, tale da comportare un serio pericolo per la situazione economica generale, tale cioè da determinare i suoi effetti non esclusivamente su di un ambito meramente locale di mercato, ma su una zona sufficientemente ampia del territorio nazionale sì da integrare una situazione di pericolo e di possibile nocumento per la economia pubblica generale”.

2. Mancanza del fumus commissi delicti nel caso di specie.

Nella soluzione del caso concreto, la Corte ha anzitutto rilevato che “indubbia è la attribuibilità all’indagato della qualifica soggettiva necessaria ai fini della integrazione del reato; questi, avvalendosi della Amelia Srl, svolge, infatti, un’attività sicuramente di carattere imprenditoriale avente, verosimilmente unitamente ad altre finalità, anche lo scopo di produrre le mascherine filtranti di cui alla provvisoria imputazione. Parimenti indubbia è la circostanza che siffatti prodotti, il cui uso è, per effetto delle molteplici normative (…), necessario per lo svolgimento di taluni atti elementari della vita di relazione (…), siano ascrivibili alla categoria dei prodotti di prima necessità, cioè di quei prodotti che sono necessari per lo svolgimento degli atti elementari della vita”.

A giudizio del Collegio, “appare, invece, assai arduo convenire con il Tribunale (…) nella individuazione nella condotta [dell’indagato] (…) del requisito della attitudine a determinare un generalizzato rincaro dei prezzi tale da incidere sul mercato interno. Invero la modestia della struttura imprenditoriale a disposizione (…), dimostrata dalla esiguità delle scorte (…) sequestrate e dalla unicità del macchinario (…) utilizzato nella catena produttiva, rende del tutto improbabile la possibilità che, attraverso la (…) condotta, fosse consentito incidere sul mercato in maniera tale da determinare un generale rincaro dei prezzi della mascherine protettive; tanto meno ciò potrebbe verificarsi in una ambito territoriale (il mercato interno) avente quelle caratteristiche di ampiezza che il senso della norma in ipotesi violata presuppone. Invero, sebbene l’espressione mercato interno non deve essere intesa quale sinonimo di mercato nazionale, tuttavia neanche è pensabile che, al fine di integrare il reato di cui trattasi, tenuto conto che il bene da esso tutelato è l’ordine economico nazionale, sia sufficiente incidere sui prezzi praticati in un ambito di mercato solo di vicinato”.

La Corte ha così annullato l’ordinanza con rinvio per nuovo esame in merito a questi ultimi punti.

Redazione Giurisprudenza Penale

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