ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALE

Il Giudice di appello non è obbligato a rinnovare le prove decisive in caso di sentenza assolutoria confermativa della pronuncia di primo grado.

[a cura di Lorenzo Roccatagliata]

Cass. pen., Sez. IV, Sent. 19 febbraio 2021 (ud. 26 gennaio 2021), n. 6501
Presidente Menichetti, Relatore Pezzella

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di cassazione, Sezione quarta, è tornata a pronunciarsi in tema di rinnovazione in appello dell’istruzione dibattimentale, nello specifico caso previsto dall’art. 603 comma 3 bis c.p.p. (i.e.nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”).

Il tema, come è noto, è stato oggetto di plurime pronunce della Corte Edu (merita richiamare le sentenze Dan c. MoldaviaLorefice c. Italia e Dan c. Moldavia n. 2), con le quali si è stabilito il principio secondo cui, nel caso di assoluzione in primo grado, il Giudice di appello non può condannare l’imputato senza violare il principio del giusto processo, a meno di disporre la rinnovazione delle prove dichiarative ritenute decisive per l’overturning.

Prima di essere cristallizzato nella norma citata, questo principio era stato recepito in Italia anzitutto per via pretoria, attraverso le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione Dasgupta (n. 27620/16), Patalano (n. 18260/17) e Troise (n. 14800/18).

Quest’ultima, in particolare, aveva affermato che “nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado. Tuttavia, il giudice di appello (previa, ove occorra, rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.) è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado”.

La sentenza qui annotata ha applicato tale principio ad un caso di doppia conforme assolutoria, nell’ambito del quale il Giudice dell’appello non aveva disposto la rinnovazione delle prove decisive.

Anzitutto, il Collegio ha ricordato il dictum della Sentenza Troise, secondo cui “l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa, anche dopo l’introduzione dell’art. 603 co. 3-bis cod. proc. pen., va visto in stretta correlazione con il principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio necessario per condannare, ma non per assolvere”. In quella sede, infatti, le Sezioni Unite avevano chiarito che “nella valutazione degli elementi di prova (…) è lo stretto collegamento fra la regola del ‘ragionevole dubbio’ e il principio costituzionale della presunzione di innocenza ad imporre al giudice d’appello il rispetto di un più elevato standard argomentativo per la riforma di una sentenza assolutoria. La garanzia della rinnovazione istruttoria, al contempo, interviene per controbilanciare il rischio di una prima condanna in appello, qualunque sia la natura, ordinaria o a cognizione ‘contratta’, del procedimento penale”.

La Corte ha ripreso anche i principi enunciati dalle sentenze Dasgupta e Patalano, le quali, “avevano evidenziato come il principio di immediatezza, privo di garanzia costituzionale autonoma, costituisca fondamentale ma non indispensabile carattere del contraddittorio, modulabile dal legislatore sulla base dell’incidenza dell’oltre ogni ragionevole dubbio sulla decisione da assumere, sicché esso diviene recessivo laddove – come nel caso di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna – detto canone non venga in questione”. Inoltre, “le Sezioni Unite avevano anche precisato come il principio di immediatezza non potesse essere usato per modificare la natura del giudizio di appello, sostanzialmente cartolare, e renderlo un ‘novum iudicium’”.

Alla luce di ciò, la menzionata sentenza Troise aveva affermato che “proprio in quanto non viene in rilievo il principio del ‘ragionevole dubbio’, la Corte ha ritenuto di non poter condividere l’orientamento (…), secondo cui, anche in caso di riforma della sentenza di condanna in senso assolutorio, il giudice di appello, al di là di un dovere di ‘motivazione rafforzata’, deve previamente procedere ad una rinnovazione della prova dichiarativa”.

Condividendo questa interpretazione, la Corte ha affermato che “ancorché vi sia stato appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 603 co-3bis cod. proc. pen. porta a ritenere che il giudice di appello che confermi la pronuncia di proscioglimento operata in primo grado non abbia l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale”.

In secondo luogo, il Collegio si è soffermato rigore motivazionale della sentenza di appello confermativa di quella di primo grado.

Diversamente dall’ipotesi analizzata dalla sentenza Troise (overturning in senso assolutorio), nel caso di specie (doppia conforme assolutoria) la Corte ha affermato che “la sentenza di appello che si conformi a quella assolutoria di primo grado non necessita di un particolare rigore motivazionale, valendo tutta l’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte di legittimità in punto di c.d. ‘doppia conforme’. E, quindi, nell’effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, il giudice del gravame del merito non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello – indipendentemente che siano entrambe di condanna o entrambe di assoluzione – fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità”.

In merito ha aggiunto il Collegio che “nella motivazione della sentenza confermativa di quella di primo grado il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (…). La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l’’ossatura’ dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte”.

Redazione Giurisprudenza Penale

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