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Falsità in autocertificazione da Covid-19: per il privato sottoposto a controllo non sussiste alcun obbligo giuridico di dire la verità (e, se esistesse, sarebbe in contrasto con il diritto di difesa)

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Tribunale di Milano, Giudice per le Indagini Preliminari, 12 marzo 2021
Giudice dott.ssa Alessandra Del Corvo

In tema di autocertificazioni Covid e obbligo di dire la verità, segnaliamo ai lettori una recente sentenza del Tribunale di Milano che ha assolto, con la formula perché il fatto non sussiste”, un imputato al quale veniva contestata la fattispecie di cui all’art. 483 c.p. in relazione all’art. 76 del D.P.R. 445/00, perché – si legge nell’imputazione – «fermato durante un controllo dei passeggeri in transito nella Stazione di Milano Cadorna effettuato dagli Agenti della POLFER, affermava falsamente un fatto del quale l’atto era destinato a provare la verità. Segnatamente in sede di autodichiarazione dichiarava di lavorare presso il […] di […] in Milano e di fare rientro presso il proprio domicilio, circostanza non rispondente al vero».

L’art. 483 c.p. – si legge nella sentenza – «incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”; […] Escluso che la norma in esame preveda un generale obbligo di veridicità nelle attestazioni che il privato renda al pubblico ufficiale, la destinazione ‘alla prova’ è stata individuata nella specifica rilevanza giuridica che abbia la documentazione pubblica dell’attestazione del privato. Per pacifica giurisprudenza di legittimità, le false dichiarazioni del privato integrano infatti il delitto di falso in atto pubblico quando sono destinate a provare la verità dei fatti cui si riferiscono nonché ad essere trasfuse in un atto pubblico: secondo la Corte, in altri termini, il delitto previsto dall’art. 483 c.p. sussiste solo qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale».

Ne deriva che «in tutti i casi quale quello in esame – nel quale l’autodichiarazione in ipotesi infedele è resa dal privato all’atto di un controllo casuale sul rispetto della normativa emergenziale –  appare difficile stabilire quale sia l’atto del pubblico ufficiale nel quale la dichiarazione infedele sia destinata a confluire con tutte le necessarie e previste conseguenze di legge. Da un lato, infatti, il controllo successivo sulla veridicità di quanto dichiarato dai privati è solo eventuale e non necessario da parte della pubblica amministrazione: pertanto, quanto dichiarato dal singolo all’atto della sottoscrizione dell’autodichiarazione  potrebbe  di fatto restare privo di qualunque conseguenza giuridica;  dall’altro, occorrerebbe ipotizzare che l’atto destinato a provare la verità dei fatti auto-dichiarati e certificati dal privato sia il successivo (eventuale) verbale di contestazione di una sanzione amministrativa o l’atto di contestazione di un addebito di natura penale, come l’atto di ‘informativa ai fini della conoscenza del procedimento’ e il ‘verbale di identificazione e dichiarazione o elezione di domicilio’: in proposito, va rilevato che, nel caso di specie, all’epoca di commissione del fatto contestato all’imputato la violazione delle prescrizioni contenute nel D.P.C.M. dell’8.3.2020 relative al divieto di spostamento fuori dalla propria abitazione o Comune di residenza se non per le comprovate ragioni ivi previste era sanzionata penalmente ai sensi dell’art. 650 c.p.».

Tuttavia – prosegue la sentenza – «appare evidente come non sussista alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di ‘dire la verità’ sui fatti oggetto dell’auto-dichiarazione sottoscritta, proprio perché non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica che ricolleghi specifici effetti ad uno specifico atto-documento nel quale la dichiarazione falsa del privato sia in ipotesi inserita dal pubblico ufficiale».

Opinando diversamente – si conclude – «si dovrebbe concludere ritenendo che il privato sia obbligato a ‘dire il vero’ sui ‘fatti’ oggetto dell’auto-dichiarazione resa pur sapendo che ciò potrebbe comportare la sua sottoposizione ad indagini per la commissione di una condotta avente rilevanza penale o, ancora, il suo assoggettamento a sanzioni amministrative pecuniarie anch’esse parimenti afflittive e punitive. Un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge e una sua ipotetica configurazione si porrebbe in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo (art. 24 Cost.) e con il principio nemo tenetur se detegere, in quanto il privato,  scegliendo legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative, verrebbe comunque assoggettato a sanzione penale per le false dichiarazioni rese».

Redazione Giurisprudenza Penale

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