Maltrattamenti in famiglia: la sentenza del Tribunale di Torino in una recente (e discussa) vicenda di cronaca (caso Lucia Regna)
Tribunale di Torino, Sez. III penale, 24 luglio 2025 (ud. 4 giugno 2025), n. 2356
Presidente Estensore dott. Gallo, Giudici dott.ssa Maccari – dott.ssa Rocci
Segnaliamo ai lettori, in considerazione dell’interesse mediatico della vicenda (caso Lucia Regna) – su cui hanno recentemente preso posizione il Presidente della Associazione Nazionale Magistrati e la Camera Penale di Torino – la sentenza con cui il Tribunale di Torino ha assolto un imputato dalla contestazione di maltrattamenti in famiglia, condannandolo per il reato di lesioni.
Il Tribunale ha escluso la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 572 c.p. – e, in particolare, quello della abitualità della condotta – sulla base essenzialmente della inattendibilità della parte civile (“da valutare con estrema cautela, in ossequio alle fondamentali indicazioni di Cass. SS.UU. n. 4146/2012, perché proveniente da una parte civile portatrice di macroscopici interessi personali e patrimoniali”), le cui dichiarazioni sono risultate caratterizzate dalla “tendenza a trasfigurare episodi che fanno parte dei consueti rapporti familiari in insopportabili soprusi di elevata frequenza” e dalla “sovrapposizione e conseguente identificazione delle discussioni con le violenze fisiche”.
Contrariamente rispetto a quanto affermato dalla parte civile – si legge nella sentenza – “è palese che non vi furono atti di violenza fisica (a parte l’episodio del 28.7.2022, beninteso) e che, soltanto in una occasione, nel corso di una discussione, l’imputato forse allontanò da sé il viso della moglie spingendolo con una mano: episodio evidentemente irrilevante ai fini del reato abituale di maltrattamenti”
Conclusione, quest’ultima, che secondo il Tribunale è risultata confermata dalle dichiarazioni di altri testimoni, tra i quali il nuovo compagno della parte civile – ossia, secondo i giudici, “un testimone che non può certo esser sospettato di parteggiare per l’imputato” – il quale ha definito l’imputato come un uomo “arrogante” (“una valutazione che va ignorata, perché l’accalorarsi dell’imputato ben può essere interpretato anche come espressione del risentimento di un uomo ferito dalla condotta della moglie“), affermando che “discuteva con sua moglie e che nella discussione avvicinava il suo viso a quello di lei: ciò che manca è proprio il contatto fisico, e non si dubita che – se vi fossero state spinte, manate, schiaffi – il testimone lo avrebbe dettagliatamente riferito”.
Quanto all’episodio di violenza fisica – ritenuto provato e per il quale vi è stata condanna – il Tribunale ha evidenziato che la ricostruzione dei fatti “mostra chiaramente che il pugno fu un gesto volontario e che nessuna causa di giustificazione può essere invocata”.
Ciò premesso, i giudici hanno ritenuto necessario affrontare il contesto nel quale l’episodio di violenza era maturato, affermando che “la causa scatenante deve essere ricercata nel risentimento – molto umano e comprensibile per chiunque – derivante dal sapere che un estraneo trascorreva del tempo nella casa che per 20 anni era stata la sua dimora familiare e si sostituiva a lui nel rapporto con i figli”.
In punto di fatto, il Tribunale ha ritenuto credibile la versione dell’imputato, secondo cui lo stesso si sarebbe recato in casa dopo che il figlio dodicenne gli aveva confidato di aver assistito, dentro casa, ad atti sessuali della madre con il nuovo compagno; cosa che – si legge nella pronuncia – “in termini oggettivi, al di là e a prescindere dal soggettivo fastidio che poteva aver dato all’imputato, era educativamente inaccettabile”.
Queste considerazioni – concludono i giudici – “hanno grande importanza ai fini di una corretta valutazione” perché, “se si descrive l‘accesso d’ira dell’imputato come immotivato e inspiegabile, ecco che l’imputato finirà per apparire come un pericoloso squilibrato, capace di ripetere indefinitamente e imprevedibilmente gesti violenti; ma se, al contrario, lo sfogo viene correttamente inserito nel suo contesto – un contesto che tenga conto delle cause (segnatamente di comportamenti non ineccepibili della stessa vittima) – ecco che potrà essere ricondotto alla logica delle relazioni umane e si potrà ragionevolmente concludere che esso costituisce un unicum legato alle contingenze sopra descritte”.
Tutto questo – precisa il Tribunale –“ha diretta influenza sulla valutazione della capacita a delinquere, sul riconoscimento delle attenuanti generiche, sulla quantificazione della pena e sulla concessione della sospensione condizionale”.
Dal punto di vista del trattamento sanzionatorio, “l’incensuratezza, i motivi a delinquere (sopra ricostruiti) e la positiva condotta processuale giustificano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti”.
Il gesto violento commesso dall’imputato – si legge nella sentenza – appare “legato a una specifica condizione di stress alimentata per vie diverse: per tali ragioni, questo collegio ritiene di poter formulare una prognosi positiva circa l’astensione, in futuro, da ulteriori reati e reputa conseguentemente di poter concedere i doppi benefici di legge (tale statuizione è subordinata sia al “percorso” imposto dal legislatore all’art. 165 comma 5 c.p., sia al pagamento della provvisionale”.