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Caso De Magistris: depositate le motivazioni del Tribunale di Roma

trib romaTribunale Ordinario di Roma, Sentenza 8 ottobre 2014 (ud. 24 settembre 2014)
Presidente Iannello, Giudici Giannitti – Bocola

Segnaliamo alla attenzione dei lettori il deposito delle motivazioni della sentenza con cui, il 24 settembre 2014, il Tribunale di Roma ha condannato il Sindaco di Napoli Luigi De Magistris per abuso d’ufficio.

In punto di diritto, la pronuncia offre interessanti spunti di approfondimento in ordine all’elemento soggettivo richiesto dal delitto di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p.

Dopo aver ribadito come nel delitto in esame l’elemento del danno venga menzionato senza alcuna oggettivazione e possa, pertanto, essere anche di carattere non patrimoniale, il Tribunale passa ad esaminare il tema della colpevolezza ribadendo come l’abuso di ufficio sia un reato di evento nel quale l’elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà del p.u. o dell’incaricato di p.s. di abusare dei poteri inerenti alle sue funzioni.

Il danno altrui o l’ingiusto vantaggio patrimoniale debbono essere presi di mira dall’agente e non semplicemente cagionati come risultato accessorio della condotta: la volontà, in altri termini, può assumere solo la forma del dolo intenzionale e non anche quella del dolo eventuale.

Nel caso di specie – si legge nelle motivazioni – la condotta (integrata dall’illecita acquisizione dei dati di traffico telefonico di soggetti cui spettava la speciale guarentigia di cui all’art. 68 Cost.) è da ritenersi qualificata soggettivamente dal dolo e l’evento – ossia il danno consistente nella effettiva conoscenza e trattamento dei dati di traffico – risulta arrecato intenzionalmente, costituendo il fine iniziale perseguito dagli imputati come «preciso scopo che il reo si prefigge di realizzare in via immediata e attraverso la violazione di legge».

L’obiettivo degli imputati – scrive il Tribunale – non era quello investigativo (mera occasione della condotta) consistente nell’espletamento delle indagini di p.g., bensì quello di conoscere il traffico telefonico dei parlamentari tramite l’acquisizione di tabulati: attività illecita perchè dolosamente inosservante della legge Boato.

Secondo il Tribunale, dunque, la ragione che guidava il comportamento delittuoso era quella d’utilizzare le comunicazioni dei parlamentari – documentate dai tabulati – per “incrociarne” le risultanze e collegare le inferenze di traffico con informazioni bancarie e localizzazioni (secondo l’usuale sistema illustrato in dibattimento per i “comuni” indagati), sì da tracciare contatti, relazioni, movimentazioni degli onorevoli nell’immanenza delle funzioni parlamentari esercitate, lese nella rispettiva sfera esclusiva (danno ingiusto).

La conoscibilità dei tabulati delle persone offese – celandone la reale appartenenza delle utenze con intestazioni generiche nelle relazioni propositive, onde aggirare ed eludere il comando normativo – non venne semplicemente rappresentata ed accettata come effetto secondario della condotta posta in essere (dolo diretto), bensì perseguita specificamente, da parte degli imputati, come conseguenza del loro operare (dolo intenzionale).

In conclusione, la prova dell’intenzionalità del dolo verrebbe desunta dalla volontà degli imputati di procurare il danno ingiusto: la certezza di tale volontà la si potrebbe ricavare non solo dal comportamento “non iure” osservato dall’agente, ma anche da altri elementi sintomatici che evidenziano l’effettiva ratio ispiratrice del comportamento (v. in senso conforme Cass. Pen. 10810/2014 secondo cui «nel delitto di abuso di ufficio la prova della compartecipazione criminosa, può essere dedotta da uno o più indicatori sintomatici come la macroscopica violazione di legge, la comunanza di interessi tra i soggetti coinvolti, la competenza di ciascuno di essi rispetto all’oggetto della deliberazione, la motivazione dell’atto, la manifestazione o meno di un dissenso e il rapporto con i destinatari del provvedimento, tanto più che, non essendo necessario un preventivo accordo, la volontà di concorrere può essere manifestata mediante qualsiasi comportamento diretto a fornire un apprezzabile contributo alla realizzazione del proposito criminoso, alternativamente o congiuntamente, nella fase ideativa, organizzativa ed esecutiva dell’impresa delittuosa»).

Redazione Giurisprudenza Penale

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