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Anche la Corte di Cassazione si rimette alla Corte costituzionale sul caso Taricco

Cassazione

Cassazione Penale, Sez. III, ud. 30 marzo 2016, Informazione provvisoria n. 2/2016
Presidente Grillo, Relatore Riccardi, Ricorrente Cestari 

All’udienza pubblica del 30 marzo 2016, la Sezione Terza della Corte di Cassazione è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sugli effetti, all’interno del nostro ordinamento, della nota sentenza (causa C‑105/14, Taricco) della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (tema su cui si rinvia, per un’analisi più diffusa, ad un recente contributo in questa Rivista). In particolare, la Corte si è trovata a confrontarsi con il seguente – noto – quesito: “se, dall’applicazione dell’art. 325, § 1 e 2 TFUE, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco, discenda l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160, comma 3, e 161, comma 2, cod. pen., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, quando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia IVA, nonostante dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato”.

Secondo l’informazione provvisoria, che qui riportiamo – in attesa di conoscere le motivazioni – la Corte si è pronunciata nel seguente senso: “letto l’art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte in cui impone di applicare l’art. 325, § 1 e 2, TFUE, dalla quale – nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 08/09/2015, Causa C-105/14, Taricco – discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160, comma 3, e 161, comma 2, cod. pen., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione, discendano effetti sfavorevoli, discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per contrasto di tale norma con gli artt. 3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, 101, comma 2, Cost.” (grassetto della Redazione).

Tale dispositivo, che ordina quindi la rimessione alla Corte costituzionale di una questione di legittimità analoga a quella già sollevata dalla Corte d’Appello di Milano (App. Milano, Sez. II, 18 settembre 2015, De Bortoli + al.), si pone in contrasto con le posizioni che la stessa Corte di Cassazione aveva recentemente assunto in materia, sia presso la medesima Sezione Terza (Cass. Pen., Sez. III, 17 settembre 2015-20 gennaio 2016, n. 2210, Pennacchini), che presso la Sezione Quarta (Cass. Pen., 25 gennaio-26 febbraio 2016, n. 7914, Tormenti).

Si accende quindi, anche in seno alla Corte di Cassazione, il dibattito sulla possibilità o meno di disapplicare norme penali sostanziali di favore in ossequio alla sentenza della Corte di Giustizia. L’orientamento critico al riguardo, sino ad oggi sostenuto in giurisprudenza dalla sola Corte d’Appello di Milano, e contrastato dalle due citate pronunce della Suprema Corte, sembra dunque trovare oggi – salva, come detto, una necessaria lettura ed analisi delle motivazioni – l’autorevole conforto di una pronuncia di legittimità.

Ne deriva l’ancor maggiore urgenza, a questo punto, di un intervento della Corte costituzionale che chiarisca se le questioni di legittimità siano fondate e se, dunque, occorra in questo caso applicare i cd. controlimiti presenti nella nostra Costituzione.

Redazione Giurisprudenza Penale

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