Falsa denuncia di smarrimento assegni e calunnia
Cassazione Penale, Sez. VI, 27 gennaio 2016, n. 8045
Presidente Paoloni, Relatore Corbo, P.G. Canevelli
La pronuncia in esame ribadisce un concetto che la Cassazione aveva già espresso in alcune precedenti sentenze, cogliendo tuttavia l’occasione per approfondirne le ragioni. La vicenda è tutt’altro che infrequente: l’imputato, dopo aver consegnato un assegno tratto dal proprio libretto alla persona offesa, denunciava alle autorità lo smarrimento dell’intero carnet, al fine evidente di evitare l’incasso.
In primo grado, l’uomo veniva assolto dall’imputazione di calunnia sulla base della circostanza che, nella denuncia, non aveva indicato né un soggetto presumibilmente responsabile né alcun altro elemento idoneo ad individuarlo. Il Tribunale riteneva, dunque, che la condotta accertata non fosse idonea ad integrare né l’elemento oggettivo né quello soggettivo della contestata calunnia.
La Corte d’Appello di Ancona, riformando la sentenza di primo grado, condannava l’imputato, attribuendo ben diversa rilevanza giuridica alla denuncia sporta da quest’ultimo e ritenendo, in particolare, pienamente accertato il dolo di calunnia, poiché lo stesso “si immedesima con l’accertamento della cosciente falsità delle circostanze oggetto della denuncia”.
Nel confermare la decisione di secondo grado, la Cassazione coglie l’occasione per ribadire un principio già espresso in passato (solo a titolo di esempio, e tra le più recenti: Cass. n. 24997/2013, n. 12810/2012, n.10400/2008, n. 13912/2004): è pur vero che la denuncia di smarrimento di assegni non costituisce direttamente un’accusa concernente uno specifico reato che si assume essere stato commesso. Tuttavia, poiché sia integrato il delitto di calunnia, è sufficiente che il denunciante prospetti all’autorità giudiziaria fatti che – anche se non univocamente indicativi di una specifica fattispecie di reato, siano comunque tali da rendere ragionevolmente prevedibile l’apertura di un procedimento penale per un fatto procedibile d’ufficio a carico di una persona determinata. Integra dunque il delitto di calunnia la condotta che sia oggettivamente idonea a determinare l’avvio di un procedimento penale nei confronti di una persona che si sa innocente, non essendo invece necessario che i fatti rappresentati siano esposti secondo lo “schema tipico” di una precisa fattispecie penale, né, a maggior ragione, che i fatti esposti siano corredati da una qualificazione giuridica appropriata.
È dunque sufficiente, ad integrare la fattispecie di cui all’art. 368 c.p., una denuncia quale quella oggetto del caso in esame, anche nel caso – come la Corte aveva già avuto modo di precisare in alcuni precedenti (si veda, in particolare, Cass. n. 24997/2013) – in cui la stessa venga presentata all’autorità prima della effettiva negoziazione del titolo che si assume smarrito, poiché anche in tal caso il denunciante è perfettamente consapevole di simulare una circostanza tale da determinare il rischio che il soggetto che detiene l’assegno in questione possa essere perseguito nel momento in cui lo porrà all’incasso. La presentazione della denuncia, infatti, è circostanza sufficiente affinchè si possa attribuire al legittimo portatore del titolo che lo negozi l’appropriazione o comunque la ricezione illecita dell’assegno, ed è dunque irrilevante che tale soggetto non venga specificatamente individuato.
Ed è inoltre significativo, sul punto, che secondo la Suprema Corte sia del tutto irrilevante che dalla falsa denuncia di smarrimento si possano astrattamente desumere – in via alternativa – la sussistenza di reati perseguibili a querela (ad esempio un furto non aggravato) o d’ufficio, nonostante la formulazione letterale dell’art. 368 c.p. escluda, nel primo caso, la configurabilità della calunnia. Diversamente, infatti, resterebbe frustrata proprio la finalità della fattispecie in esame: evitare il pericolo che l’amministrazione della giustizia sia tratta in inganno e che dunque “si instauri un procedimento penale, con il rischio di irrogare una pena nei confronti di un innocente” (così affermava già Cass. n. 13912/2004). Deve dunque ritenersi sufficiente – e lo si ribadisce nella sentenza in esame – che i fatti falsamente rappresentati siano tali da rendere “ragionevolmente prevedibile” l’apertura di un procedimento penale per un fatto procedibile d’ufficio a carico di una persona determinata, coerentemente con la natura di reato di pericolo del delitto di calunnia.