ARTICOLIDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANOResponsabilità degli enti

D. Lgs. 231/2001: dal Tribunale di Spoleto una netta chiusura alla ammissibilità della messa alla prova per gli enti

[a cura di Guido Stampanoni Bassi]

Tribunale di Spoleto, Ordinanza, 21 aprile 2021
Giudice dott. Luca Cercola

In tema di responsabilità degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/2001, segnaliamo ai lettori la pronuncia con cui il Tribunale di Spoleto ha aderito all’orientamento contrario alla ammissibilità della cd. “messa alla prova” nei confronti delle persone giuridiche alle quali viene contestato un illecito amministrativo da reato.

Si tratta, come è noto, di tema oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale, sul quale abbiamo già segnalato su questa Rivista:

➡ l’ordinanza del Tribunale di Milano del 27.03.2017 (contraria alla messa alla prova per gli enti)
➡ l’ordinanza del Tribunale di Modena del 19.10.2020 (favorevole alla messa alla prova per gli enti)
➡ l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 10.12.2020 (contraria alla messa alla prova per gli enti)
➡ l’ordinanza del Tribunale di Modena del 15.12.2020 (favorevole, a determinate condizioni, alla messa alla prova per gli enti)

Con l’ordinanza allegata, il Tribunale ha esordito ritenendo non percorribile il ricorso allo strumento della analogia, non ritenendo, tuttavia, condivisibile il ragionamento seguito da altri giudici di merito secondo cui il carattere sostanziale delle norme di cui si pretende l’applicazione a carico degli enti «precluderebbe il ricordo all’analogia in virtù del principio di tassatività e legalità»: nel caso di specie, infatti, «l’analogia produrrebbe effetti in bonam partem – e, dunque, non sarebbe vietata – attribuendo ulteriori chances difensive all’ente imputato».

Il ricorso alla analogia «risulta comunque inibito dal fatto che il percorso esegetico astrattamente concepito lascerebbe, in concreto, ampi margini di incertezze operative; in particolare, rimarrebbe imprecisato l’ambito di applicazione della messa alla prova per gli enti, non essendone chiari i requisiti di ammissibilità».

L’accesso al rito premiale della messa alla prova deve essere negato agli enti – prosegue il Tribunale – «anche per un altro motivo: ossia, il fatto che il programma di messa alla prova, con i dovuti riadattamenti che risentono della assenza di connotazioni antropomorfiche per il soggetto imputato, finirebbe con l’assumere un contenuto sostanzialmente equipollente alle prescrizioni dettate dall’art. 17 D. Lgs. 231/2001», dal momento che: «i) il risarcimento del danno a favore della persona offesa andrebbe a gravare sulle risorse patrimoniali della societas; ii) l’affidamento in prova al servizio sociale potrebbe avvenire attraverso l’adozione di idonei ed efficaci modelli organizzativi; iii) lo svolgimento di lavori di pubblica utilità potrebbe essere spersonalizzato imponendo all’ente un dovere di contribuire patrimonialmente sempre a favore della collettività, e a tale scopo ben si presta la previsione della messa a disposizione del profitto confiscabile».

E’ noto però – si legge nell’ordinanza – «che l’adempimento delle prescrizioni stabilite dall’art. 17 D. Lgs. 231/2001, se avvenuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, non prevede l’estinzione del reato, bensì stabilisce, in caso di condanna all’esito del giudizio, una mitigazione del trattamento sanzionatorio escludendo l’applicazione di sanzioni interdittive». Se così è, «offrire all’ente la possibilità di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova significherebbe fornirgli uno strumento agevole per eludere la disciplina di cui agli artt. 17 e 65 D. Lgs. 231/2001 consentendogli di ottenere, alle stesse condizioni e senza alcun onere aggiuntivo, il beneficio della estinzione del reato».

Non a caso, il legislatore italiano del 2001 «ha evidentemente voluto prendere le distanze dal modello diffuso nei sistemi d’oltreoceano, consapevolmente prevedendo, nel caso di condotte riparative e/o ripristinatorie successivo al compimento dell’illecito, una attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma non una esclusione di responsabilità».

In conclusione, ad avviso del Tribunale, si deve «escludere in toto la ammissibilità della messa alla prova per gli enti, persino nei casi in cui la societas si fosse già dotata prima della commissione dell’illecito di un modello organizzativo ritenuto ex post inidoneo, requisito che invece certa dottrina – che pare avere fatto breccia nella recente ordinanza del Tribunale di Modena del 15 dicembre 2020 – ha ritenuto condizione indispensabile per ammettere la persona giuridica alla probation al fine di scongiurare che l’istituto disincentivi le società a dotarsi di modelli ante delictum, per allestirne uno solo in caso di commissione di un reato suscettibile di generare responsabilità per l’impresa collettiva».

Redazione Giurisprudenza Penale

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