ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro la personaDIRITTO PENALEParte speciale

Abusi sessuali su minore e conflittualità familiare: il giudice deve valutare l’attendibilità della vittima

Cassazione Penale, Sez. III Penale, 6 febbraio 2014 (ud. 12 dicembre 2013), n. 5753
Presidente Teresi, Relatore Graziosi

Nei giudizi relativi ad abusi sessuali su minori, specie se avvenuti all’interno delle “mura domestiche”, il giudice deve sempre valutare l’attendibilità della persona offesa, a maggior ragione se coinvolta in drammatiche situazioni familiari.
«È notorio, che una situazione di intensa conflittualità tra i genitori incide sulla psicologia di un bambino, e tanto più di un bambino che è ancora in un’età – come cinque anni – in cui la distinzione tra realtà e fantasia si configura in modo più labile rispetto a quella che si apprende in una età successiva, secondo un ordinario sviluppo psicologico».
Come anticipato lo scenario portato dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione attiene, ancora una volta al tema, – ahimè sempre più frequente – degli abusi sessuali su minori, avvenuti nella cerchia delle relazioni familiari.
Ebbene, con sentenza del 30 gennaio 2007 il Tribunale di Messina, condannava alla pena prevista per i reati di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p.p. (pena, poi, attenuta dal giudice dell’appello, ai sensi dell’art. 609 quater, 3 comma c.p.) un uomo per aver compiuto atti sessuali con una persona di età inferiore ai dieci anni, e precisamente un suo nipote di anni cinque.
Concluso il giudizio di merito con sentenza della Corte d’Appello di Messina, l’imputato proponeva formale ricorso per Cassazione denunciando a sua ragione, l’inattendibilità del minore, stante la complicata situazione familiare in cui viveva.
Veniva prospettata, in particolare, “l’omessa considerazione del contesto cui il bambino avrebbe denunciato lo zio per gli abusi sessuali, cioè una situazione di separazione in corso tra i genitori del minore caratterizzata da un tasso di conflittualità nettamente superiore alla norma”.
Peraltro, già in sede d’appello il difensore dell’imputato aveva “rilevato l’insufficienza e contraddittorietà della prova acquisita a carico dell’imputato, costituita esclusivamente dalle dichiarazioni del minore, risultate generiche …e chiaramente influenzate dall’atteggiamento della madre.  La madre, infatti, come emerge anche dalla motivazione della sentenza di primo grado, aveva avviato un procedimento innanzi al Tribunale per i minorenni di Messina per ottenere la decadenza dalla potestà genitoriale del marito (fratello dell’imputato).
Situazione, quest’ultima, tutt’altro che “pacifica” – osserva la Corte.
«La corte territoriale, quindi, avrebbe dovuto (…) adeguatamente motivare sulla inesistenza di conseguenze della suddetta situazione di conflitto nelle dichiarazioni d’accusa che il bambino, che viveva in normale contatto con la madre, ha pronunciato nei confronti del fratello del padre: e ciò tanto più in un contesto in cui, come evidenzia la stessa sentenza d’appello, nella relazione redatta per il Tribunale per i minorenni le specialiste del Servizio Tutela Materna Infantile avevano definito il minore “un bambino che utilizza molto spiegazioni di tipo fantastico, è capace di inventare circostanze, fatti e luoghi con creatività rendendoli attendibili, specialmente se in difficoltà e quando non sa come dovrebbe rispondere».
«La personalità del bambino era, [dunque] ragionevole ritenere che potesse subire, in qualunque sua manifestazione attinente a persone di famiglia, il riflesso della situazione di conflitto familiare in cui si era trovato a vivere: che questo non fosse avvenuto occorreva pertanto verificarlo, per verificare l’effettiva attendibilità del minore, non essendo sufficiente stabilire una separazione aprioristica tra il minore figlio di coniugi in forte conflitto e il minore abusato da un soggetto riconducibile psicologicamente a quel padre che la madre voleva, con la sua iniziativa presso il Tribunale dei minori, estromettere dalla vita del bambino».
Questi i motivi per cui i giudici della Corte ritennero non manifestamente infondata la doglianza avanzata nei motivi di ricorso dalla difesa.