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La Cassazione si pronuncia sulla norma di interpretazione autentica in tema di criminalità organizzata (decreto legge 10 agosto 2023, n. 105)

Cassazione Penale, Sez. II, 28 novembre 2023 (ud. 28 settembre 2023), n. 47643
Presidente Rosi, Relatore Di Paola

Segnaliamo, in merito al decreto legge 10 agosto 2023, n. 105 – il quale era intervenuto, con una norma di interpretazione autentica, stabilendo che “le disposizioni di cui all’art. 13 d.l. n. 152/1991, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 203/1991, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli artt. 452-quaterdecies e 630 c.p., ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo” – la sentenza con cui la Corte di cassazione ha affermato che «il disposto dell’art. 1 d.l. 105/2023 ha contenuto interpretativo e, come tale, ha efficacia retroattiva dovendo applicarsi anche nella materia processuale la possibilità di specificare, ora per allora, l’ambito applicativo delle norme destinate a regolare i criteri legittimanti il ricorso a specifici mezzi di ricerca della prova».

La giurisprudenza costituzionale del tutto consolidata – si legge nella sentenza – «ha affermato da tempo che la portata retroattiva della legge, anche delle norme di interpretazione autentica, incontra — al di là dello specifico ambito della materia penale – limiti che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali tra cui rilevano i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, oltre che quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario».

Esclusi sia l’ultimo dei limiti, che non trova rilievo in questa sede, sia quello dell’eventuale compromissione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica (non potendosi ipotizzare, nell’ambito di indagini penali e dell’acquisizione di elementi di prova, l’insorgere di oneri processuali con effetti pregiudizievoli per l’indagato, ovvero pregiudizi al legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio, secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali) – prosegue il collegio – «occorre valutare se l’intervento legislativo adottato possa risultare confliggente con diritti costituzionalmente garantiti», dovendo il conflitto eventuale «tenere conto dell’altrettanto consolidato orientamento del giudice delle leggi secondo il quale non sussiste alcun vulnus a livello costituzionale quando la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale” ai sensi della Cedu».

Ad avviso dei giudici, «nella materia in esame, soccorre ancora una volta l’insegnamento della giurisprudenza costituzionale».

In particolare, «il diritto all’inviolabilità delle comunicazioni, teso a tutelare la loro libertà e segretezza, così come ogni altro diritto costituzionalmente protetto, è soggetto a limitazioni purché disposte “per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”; se così non fosse, “si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette“. Per questa ragione, la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza (sentenza n. 85 del 2013). Pertanto, anche il diritto inviolabile protetto dall’art. 15 Cost. può subire limitazioni o restrizioni in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante, sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia» della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione (sentenza n. 366 del 1991)».

In conclusione – si legge nella pronuncia – «l’interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire in giudizio gli autori delle condotte criminose (specie in relazione ai reati di maggior allarme sociale e di maggiore complessità quanto al loro accertamento, quali quelli relativi ai procedimenti di criminalità organizzata), rappresenta interesse pubblico primario, costituzionalmente rilevante, il cui soddisfacimento è assolutamente inderogabile (Corte cost. n. 366 del 23/7/1991), sicché la norma interpretativa in esame, nella sua portata retroattiva, non può dirsi né irragionevole né lesiva di valori costituzionalmente protetti».

Redazione Giurisprudenza Penale

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